Come si instaura una dittatura? Ci sono diverse
maniere. Si può fare un violento colpo di stato, abolire ogni libertà, imporre
con la forza e il terrore i nuovi ordinamenti... certo, è un metodo rischioso;
qualcuno può non essere d'accordo, e se anziché qualcuno i dissidenti
sono
tanti, nascono un sacco di pasticci. Ma si può anche arrivare al
Governo legalmente, almeno pro forma e poi, passo dopo passo, impadronirsi dello
Stato; questo metodo, molto meno pericoloso, è possibile se si soddisfano nella
giusta misura gli interessi delle varie categorie che compongono la società e
se, beninteso, non ci sono avversari validi a contrastare il cammino.
Senza
dubbio l'ascesa al potere di Mussolini seguì questa seconda via. La nomina a
Primo Ministro gli fu legalmente conferita dal Re, né si può realisticamente
affermare che questi fosse coartato a farla; poi iniziò quel processo di
fascistizzazione dello Stato, che nell'arco di poco più di due anni
avrebbe portato alla dittatura. Questo processo iniziò praticamente subito: non
erano trascorsi che due mesi dalla Marcia su Roma e già il Governo presieduto da
Mussolini, con delibera del 28 dicembre 1922, approvava il testo del decreto di
istituzione della
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale - MVSN,
che divenne operativo col Regio Decreto 14.1.1923 n. 31.
Vogliamo quindi
leggere con i nostri lettori la storia di questa Milizia, purtroppo ignorata, o
al più citata
en passant, da tanti frettolosi libri di testo o
liquidata tra le tante manifestazioni di militarismo del regime. E' un'omissione
grave, perché non a caso dicevamo che l'istituzione della
MVSN fu il
primo passo del processo di fascistizzazione dello Stato, peraltro supinamente
accettato dalle forze non fasciste che sedevano in Parlamento (e che all'epoca
erano ancora in maggioranza): infatti il Regio Decreto citato dava veste legale
a una Milizia che già esisteva, la Milizia fascista, che altro non era che
l'organizzazione paramilitare delle
squadre d'azione. A poco varrebbe
obiettare che la
MVSN fu per molti versi una parodia di forza armata e
che ebbe uno sviluppo soprattutto di tipo tecnico - amministrativo, aldilà delle
solenni definizioni di "Guardia armata della Rivoluzione". Tutto ciò è vero,
almeno in buona parte, e lo vedremo proseguendo il nostro studio; ma resta il
fatto, di grande rilevanza storica, di uno Stato di diritto, come pur sempre era
l'Italia, che conferisce veste e funzioni pubbliche ad un'organizzazione armata
di un partito politico. Lo scempio del diritto è quindi duplice:
un'organizzazione di parte che diviene organo pubblico (mantenendo, come
vedremo, il suo carattere di organo di parte); un'organizzazione paramilitare,
nata come braccio armato di un partito, che anziché venir disarmata e disciolta,
al contrario ottiene il riconoscimento della legge.
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Manichino con
la divisa di "seniore" della MVSN |
Per
meglio renderci conto di quanto affermato, vediamo assieme gli articoli più
significativi del citato Decreto Legge.
Funzioni della Milizia
(art.2): "La Milizia per la Sicurezza Nazionale è al servizio di Dio e della
Patria e agli ordini del Capo del Governo. Provvede, in concorso coi corpi
armati per la Pubblica Sicurezza e col Regio Esercito, a mantenere all'interno
l'ordine pubblico e prepara e conserva inquadrati i cittadini per la difesa
degli interessi dell'Italia nel mondo".
Reclutamento (art.3): "il
reclutamento è volontario e avviene fra gli appartenenti alla milizia fascista
tra i 17 e i 50 anni che ne facciano domanda e che, a giudizio del Presidente
del Consiglio o delle autorità da lui delegate, ne possiedano i requisiti di
capacità e moralità".
Nomine e avanzamenti degli ufficiali (art.5):
"Le nomine degli ufficiali e le loro promozioni vengono compiute con nostro
decreto (Regio Decreto, N.d.A.), su proposta dei Ministri per l'Interno e per la
Guerra".
Oneri finanziari (art.8): "Le spese per l'istituzione e il
funzionamento della Milizia per la Sicurezza Nazionale sono a carico del
bilancio del ministero dell'Interno".
Divieto di altre formazioni
(art.9): "Dall'entrata in vigore del presente Decreto (1.2.1923 - N.d.A.) tutte
le altre formazioni a carattere o inquadramento militare di qualsiasi tipo non
sono permesse".
Per meglio capire l'importanza sostanziale di queste norme,
si consideri che Mussolini, Primo Ministro, Capo del Governo, aveva assunto
anche la carica di Ministro dell'Interno.
Dicevamo sopra che la Milizia già
esisteva, come organizzazione paramilitare delle squadre d'azione. Era stato un
passo necessario da parte di Mussolini per cercare di dare ordine e centralità a
quella galassia disordinata e riottosa che erano le squadre, perlopiù costituite
su base locale, con forti vincoli di fedeltà e obbedienza al capo, il
ras, non sempre disposto a rinunciare al proprio potere personale, per
osservare la linea politica che il
Duce avrebbe voluto imporre. Né si
trattava solo, per Mussolini, di consolidare il proprio potere personale
all'interno del partito: nella costruzione dell'immagine rassicurante di un
fascismo legalitario, che usava la propria forza per ristabilire l'ordine,
l'imperversare disordinato e violento delle squadre d'azione poteva essere
deleterio.
Un anno prima della Marcia su Roma, il 22 novembre del 1921,
Mussolini aveva proposto e fatto approvare dal comitato centrale del Partito
Nazionale Fascista la costituzione di un "Comando generale per la formazione,
l'organizzazione e la disciplina delle squadre di combattimento". Il Comando era
retto da quattro "Ispettori Generali", Italo Balbo (tenente degli alpini),
Ulisse Igliori (tenente degli arditi), Asclepia Gandolfo (maggior generale
dell'esercito) e Dino Perrone Compagni (ex ufficiale dell'esercito). I quattro
avevano preparato, con la fine di gennaio del 22, un primo progetto di
ordinamento militare che attribuiva alla Milizia il compito di agire "… quando
sia necessario far mostra di disciplina e di forza, o per tutelare il Partito
dalle violenze di altri partiti… e quando la forza dello Stato si mostri
deficiente o inadatta allo scopo". E' importante notare che già nel primo
progetto la Milizia si attribuiva, tra l'altro, compiti di surrogazione dello
Stato. L'ordinamento gerarchico e dei reparti si rifaceva alle terminologie di
imperiale memoria romana: i decurioni comandavano la squadra, i centurioni la
centuria, i seniori la coorte, i consoli la legione. I gradi erano elettivi, per
voto di base, in stile da rivoluzione messicana, ma si ammettevano deroghe,
"lasciando ad uomini provati" la direzione di certi reparti. Se questo primo
progetto era stato elaborato in gran segreto, il secondo, reso necessario dagli
scarsi risultati ottenuti, viene addirittura pubblicato il 12 ottobre 1922 sul
Popolo d'Italia. Mancano solo 16 giorni alla Marcia su Roma e ormai si
gioca a carte scoperte. Il "Regolamento di Torre Pellice" (così chiamato dalla
località in cui si erano riuniti gli estensori) porta le firme di tre dei
quattro futuri quadrumviri,
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Per lo squadrista, la
MVSN costituiva la dignità di una divisa ufficiale
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Balbo,
De Bono e De Vecchi; conferma nella sostanza l'ordinamento territoriale in
legioni, a loro volte ordinate in comandi di gruppo, ma soprattutto si sofferma
sulle norme disciplinari e sulle doti morali che devono contraddistinguere il
milite fascista, prevedendo i casi in cui la Milizia può espellere "gli impuri,
gli indegni, i traditori". I problemi principali delle squadre restano sempre
quelli del comportamento, troppo spesso poco militare e molto banditesco e
dell'inquadramento.
Si arriva al 28 ottobre 1922, alla Marcia su Roma.
Mussolini, appena nominato Primo Ministro, ha subito diramato ai prefetti ordini
tassativi per la repressione di qualsiasi violenza. Si rende conto benissimo che
le squadre costituiscono, per l'immagine
pulita del fascismo, la grande
incognita, con la loro carica di violenza, acuita dal fatto che non pochi
squadristi si sentono (e a ragione) traditi e usati per l'ascesa al potere di
Mussolini, col miraggio di una
rivoluzione che non c'è stata e mai
avverrà. Le violenze che costellano il rientro alla base delle varie colonne di
squadristi dimostrano la fondatezza di questi timori. Il 15 dicembre 1922
Mussolini, Primo Ministro da un mese e mezzo, incarica una commissione formata
da Finzi, De Bono, De Vecchi, Balbo e Teruzzi, di elaborare "proposte di pratica
e immediata attuazione". I cinque si mettono al lavoro e si giunge al testo del
Regio Decreto 14.1.1923 n. 31.
Fatta la Milizia sulla carta, bisognava ora
dotarla di un regolamento di disciplina e provvedere agli arruolamenti. Il 12
gennaio del 1922 il Gran Consiglio del Fascismo aveva dichiarato sciolte le
squadre d'azione; il già citato Regio Decreto n.31, agendo di conserva con la
delibera del Gran Consiglio, disponeva l'arruolamento degli squadristi in
coorti, suddivise in tre bandi. Ne risulterà una forza teorica di circa 300.000
uomini, di cui 139.000 (più 8.000 ufficiali) effettivamente arruolati col primo
bando. Il regolamento di disciplina, preparato dal sottosegretario Aldo Finzi,
riceve anch'esso sanzione legale (Regio Decreto 8 marzo 1923 n.831) e, tra
l'altro, dà del milite fascista, che fino al giorno prima era lo squadrista, una
definizione di retorica a dir poco alluvionale: "Il milite della Milizia
Nazionale serve l'Italia in mistica purità di spirito, con fede incrollabile ed
inflessibile volontà; sprezza, al par d'ogni altra viltà, la prudenza che nasce
dall'opportunismo; ambisce, come premio sommo alla sua fede, il sacrificio;
sente la fiera bellezza dell'apostolato a cui tutto si vota per fare forte e
sicura la gran Madre comune. Egli perciò non conosce che doveri, e non ha
diritto che alla gioia di compierli…"
La Milizia era nata, ed era un ottimo
esempio di quella politica di equilibri che avrebbe contraddistinto l'agire di
Mussolini. La
MVSN inquadrava militarmente gli squadristi e quindi
tranquillizzava il cittadino medio, ma al tempo stesso gli faceva sapere che
esisteva comunque un'occhiuta e ramificata vigilanza fascista. Per lo
squadrista, la
MVSN costituiva la dignità di una divisa ufficiale e un
colpo di spugna sul passato di violenze e sopraffazioni, ma al tempo stesso lo
ingabbiava nella disciplina militare. Nei confronti del Paese e dei fascisti,
Mussolini poteva ormai presentarsi come il depositario unico della violenza, in
grado di utilizzarla o di comprimerla, cumulando su di sé le cariche di Primo
Ministro, Ministro dell'Interno, Duce del Fascismo e, come capo del Governo,
comandante in capo della Milizia.
Delineiamo ora brevemente le prime norme di
funzionamento della Milizia, come previste dal Regio Decreto 20 agosto 1923
n.1880 (poi convertito, con alcune modifiche che vedremo, nella Legge 17 aprile
1925 n.473).
Il Milite della
MVSN non presta giuramento al Re, bensì
al Duce; le camicie nere, fino al grado di caposquadra (sergente - si vedano in
calce le tabelle di corrispondenza di gradi e reparti) non prestano servizio
permanente; essi sono lavoratori delle varie categorie (operai, impiegati,
professionisti ecc.) che attendono alle proprie normali occupazioni e sono
chiamati in servizio per motivi di ordine pubblico, calamità, istruzione
militare, sfilate, cerimonie, ispezioni.
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Divisa da
"console generale" della Milizia |
Queste
chiamate avvengono a livello di reparto e possono essere effettuate dal Ministro
per l'Interno, dal prefetto o anche dal sindaco (in seguito, dal podestà). La
mobilitazione generale per motivi di ordine pubblico può avvenire solo per
ordine di Mussolini. La chiamata si effettua con pubblici manifesti o con
cartolina precetto. Il milite conserva a casa l'uniforme, mentre restituisce in
caserma, al termine del servizio, l'armamento individuale (moschetto 91 e
pistola per i militi, pistola per i sottufficiali e ufficiali). Anche gli
ufficiali e gli aiutanti (marescialli) prestano il servizio solo quando
comandati, salvo un'aliquota, circa il 10%, in servizio permanente. Questi
ultimi godono di un'indennità, o stipendio che dir si voglia, mentre per tutti
gli altri è previsto un compenso solo per i giorni di richiamo.
I militi
indossano la divisa grigioverde, ma con camicia e cravatta nere. Al posto delle
stellette, portano due piccoli fasci in metallo giallo ("fascetti").
La
MVSN non adotta il saluto tipico dell'esercito, bensì il cosiddetto
saluto romano: braccio destro teso in avanti obliquamente. La Milizia
ha il proprio servizio sanitario, quello religioso e, nei primi anni di
attività, otterrà dal ministero della Guerra edifici demaniali già destinati ad
altre truppe, per uso di caserma e uffici; sempre dallo stesso ministero
riceverà le prime dotazioni di armi e munizionamento.
L'appartenenza alla
MVSN non esonera dagli obblighi di leva; il milite svolge regolarmente
il suo servizio militare presso il Corpo a cui è assegnato, e al quale dovrà
tornare per gli eventuali richiami (Da questa norma saranno esonerati solo i
militi dei
battaglioni Camicie Nere, le unità combattenti della
MVSN, di costituzione successiva).
Per tutti, militi, sottufficiali
e ufficiali è obbligatoria l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista, dalla
quale sono esentati solo i cappellani.
Abbiamo parlato della nascita e del
primo ordinamento della
MVSN; conviene fare un attimo di sosta e di
riflessione, perché resta da capire come un Parlamento, ancora in larga parte
non fascista e un Governo in cui sedevano solo tre ministri fascisti, ma che
vedeva la presenza anche di popolari, nazionalisti, liberali e di due alti
ufficiali (il generale Diaz e l'ammiraglio Thaon de Revel), abbiano potuto
supinamente accettare la creazione della
MVSN, che insieme costituiva
un
monstrum giuridico e una seria ipoteca sulla libertà del Paese. Ma
si consideri che questo Paese da tre anni viveva in un clima di guerra civile e
ormai non si desiderava che un ritorno alla normalità. Se molti erano intimoriti
dall'intrinseca carica di violenza degli
squadristi, tuttavia la
politica dissennata di una sinistra, inutilmente barricadiera senza la capacità
di essere realmente rivoluzionaria, aveva amplificato la paura, più forte e già
diffusa, del
sovversivismo e aveva disgustato gli ex combattenti con
una gratuita campagna di oltraggi, diretta non solo contro chi aveva voluto la
guerra, ma anche contro chi l'aveva fatta, i semplici soldati, in gran parte
appartenenti alle classi umili. Mussolini, più che incendiario, era stato un
accorto gestore degli incendi appiccati (o fatti appiccare) da altri e ora si
presentava, ne parlavamo sopra, come l'unico pompiere affidabile.
Le Forze
Armate, in buona parte, simpatizzavano per il fascismo, che si proponeva anche
come paladino dei diritti dei militari e dei reduci; è notorio l'atteggiamento a
volte assenteista, a volte di aperto appoggio, che l'esercito ebbe nei confronti
delle violenze squadriste. E' rimasta famosa l'italianissima risposta (da alcuni
attribuita a Diaz, da altri a Thaon de Revel o a Pecori Giraldi) data al Re,
che, con le squadre fasciste che convergevano su Roma, cercava lumi
sull'affidabilità dei militari: "L'esercito farà il suo dovere, ma sarà meglio
non metterlo alla prova". Né si può scordare che quegli anni videro anche
l'occupazione di Fiume da parte dei
legionari dannunziani: un evento
che, comunque lo si voglia vedere, costituiva un atto di sedizione militare. In
sostanza, anche i militari preferivano lo sbrigativo realismo di Mussolini (che
peraltro prometteva vantaggi anche per loro) allo stato confusionale di una
classe politica che aveva perso il controllo della nazione.
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Il distintivo
da giubba dell'Indomita una squadra d'azione
fascista |
Certo, c'era in gioco la libertà:
ma l'uso che se n'era fatto nell'ultimo triennio non la rendeva più di tanto
cara, né all'uomo della strada, né ai militari, né ai politici; tra questi
ultimi poi era diffusa la convinzione (si crede sempre facilmente a ciò che si
desidera) del carattere
contingente dell'esperimento fascista. Anna
Kuliscioff: "… bisogna che egli possa percorrere tutta la sua parabola, dovesse
rimanere anche un paio d'anni al potere…". Ma non diversamente la pensavano
Giolitti, Nitti, Amendola, Salvemini, che vedevano in Mussolini
l'uomo della
pacificazione, comunque sicuri che, trascorsa la breve parentesi fascista,
la direzione del paese sarebbe tornata ai
professionisti del Governo. E
questa convinzione non era stata scalfita nemmeno dai toni aggressivi e violenti
con cui Mussolini si presentò alla Camera: "Con trecentomila (moltiplicava
almeno per 5 le cifre reali…) fascisti armati di tutto punto, avrei potuto fare
di quest'aula grigia e sorda un bivacco di manipoli. Non ho,
almeno per
ora, voluto".
Quale affidabilità poteva dare una classe politica, ormai
persa in un limbo che le impediva di valutare appieno la realtà? Nessuna. E
proprio in questa situazione chi mancò completamente l'appuntamento con la
Storia fu il Re. Vittorio Emanuele III iniziò a scavare la fossa alla Monarchia
non tanto quando conferì l'incarico di Governo a Mussolini, quanto piuttosto col
successivo avallo, passo dopo passo, della politica liberticida che avrebbe
portato alla dittatura. La sua posizione non gli consentiva reazioni emotive
(che peraltro non erano nel suo carattere), ma gli imponeva, in una situazione
di totale confusione e smarrimento, di essere
super partes il tutore di
una Nazione libera e democratica. Nessun atto con valore di legge poteva essere
tale senza la firma del Re. Ma questi, ben più pensoso delle sorti dinastiche,
anziché di quelle nazionali, fece la sua scelta, che nei confronti dell'Italia
aveva un solo nome: tradimento. E in fondo, a ben guardare, come massimo
responsabile della Nazione, fu anche, al
redde rationem del 1945,
quello che pagò il conto minore. Ironie della Storia; ma forse era troppo
piccolo per poter avere la grandezza di pagare grossi scotti.
E torniamo alla
MVSN; se c'era tutto, o quasi, dal punto di vista normativo, mancava
molto sotto quello sostanziale.
In primis, bisognava capire fino in
fondo quali fossero i compiti della Milizia. Infatti neanch'essa sfuggiva al
magmatismo classico di tanta politica mussoliniana, funzionale del resto a una
linea di condotta che era sempre quella di procedere a vista, adattando per via
le situazioni, come un marinaio che persegue la sua meta non con una rotta
predefinita, ma con continue correzioni, a seconda dei venti che spirano. La
Milizia si presentava subito come un ibrido doppione sia delle forze
dell'Ordine, sia dell'Esercito. In più l'ordinamento iniziale, che abbiamo
appena studiato, non determinava il numero delle legioni e delle coorti,
lasciandolo di fatto all'arbitrio del Governo. Comunque uno dei primissimi
compiti affidati alla
MVSN fu quello del controllo politico, con
l'istituzione di un
UPI ( Ufficio Politico di Investigazione) per ogni
comando di Legione. L'
UPI doveva "sentire l'atmosfera" del Paese,
tenere aggiornati gli schedari dei possibili "perturbatori dell'ordine" (ossia
degli oppositori politici) e fu la prima delle molte
polizie parallele,
grande passione del Duce, che della Polizia (Pubblica Sicurezza) lamentava
l'inefficienza e dei Carabinieri e della Guardia di Finanza la non completa
affidabilità, salvo poi servirsi degli investigatori di questi corpi per
sorvegliare gli altri sorveglianti.
Ma se vogliamo un elenco dettagliato
delle funzioni della milizia, quali via via si definirono, affidiamoci alla
fonte, ad un testo dell'epoca fascista: "Sorta dalla trasformazione delle
squadre d'azione, essa costituisce, come l'ha definita il Duce,
la
guardia armata della Rivoluzione; assolve compiti
politico-educativo-militari e compiti propriamente militari. I primi possono
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la Milizia
dovette superare non poche crisi, dovute in parte ai rapporti
con l'Esercito |
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riassumersi
nella preparazione pre e post-militare, sicché può dirsi che è attraverso i
ranghi della Milizia che lo Stato Fascista realizza il postulato della
inscindibilità delle funzioni di cittadino e di soldato". Troviamo queste
precisazioni nella
Enciclopedia Pratica Bompiani, edizione 1938,
sezione 11 - "Lo Stato fascista" - capitolo "Le Forze Armate", voce
"
MVSN". Lo stesso testo ci informa sui compiti militari della Milizia,
che consistono nel concorso con proprie unità (i
battaglioni Camicie
Nere) alle operazioni di guerra con le altre Forze Armate e nella difesa
contraerea e costiera, costituita da
legioni speciali formate da
personale giovanissimo (tra i 18 e i 20 anni) o anziano (oltre i 40).
Il
testo che abbiamo citato (che pudicamente non accenna agli Uffici Politici di
Investigazione…) è del 1938. Ma prima di arrivare a questa data, la Milizia
dovette superare non poche crisi, dovute sia a motivi interni, sia ai rapporti
con l'Esercito. La posizione di quest'ultimo era complessa: i militari, già in
larga parte favorevoli al fascismo (lo vedevamo sopra) gradivano una Milizia che
li sollevasse, almeno in parte, dagli sgraditissimi compiti di ordine pubblico.
Ma d'altra parte provavano la normale avversione di ogni soldato professionista
verso le abborracciate milizie di parte che in questo caso rischiavano poi, dato
il numero rilevante degli effettivi, di presentarsi come
concorrenti,
anche nel capitolo (tutt'altro che secondario… ) delle assegnazioni annue di
bilancio. Mussolini era ben conscio della necessità di mantenere l'appoggio
delle Forze Armate; e verso queste ultime la politica fascista fu prodiga: a
parte l'esaltazione patriottica indotta come contraltare all'antimilitarismo di
sinistra, il nuovo governo prometteva comunque una politica espansionistica
(ossia possibilità di carriera per i militari) e intanto una novantina di alti
ufficiali riceveva il laticlavio: il Senato era di nomina regia, su proposta del
Governo. Inoltre il nuovo grado di Maresciallo d'Italia andava a premiare non
solo Diaz (che era, almeno in teoria, il vincitore della Grande Guerra), ma
veniva conferito poi anche a personaggi come Cadorna, Badoglio, Giardino, Pecori
Giraldi, il duca d'Aosta e Caviglia, dando così soddisfazione alle potenti
associazioni combattentistiche, con un bel colpo di spugna su tutte le polemiche
post-Caporetto. E si consideri che il grado, onorifico, aveva però anche un
contenuto molto concreto: un appannaggio di 2 milioni.
Restava però
l'ambiguità di fondo di questa formazione armata fascista, che non giurava
fedeltà al Re e della quale era difficile capire anche il numero degli
effettivi. Si giunse così al Regio Decreto 4 agosto 1924 n. 1292, bollato da non
pochi fascisti come la "evirazione della Milizia". In esso si stabiliva (art.1)
che "La
MVSN fa parte delle Forze Armate dello Stato. I suoi componenti
prestano giuramento di fedeltà al Re e sono soggetti alle stesse disposizioni
disciplinari e penali di quelli appartenenti al Regio Esercito". Il successivo
articolo stabiliva il numero delle legioni (139, ma variabile di anno in anno in
sede di bilancio di previsione). Per quanto concerne gli ufficiali, il decreto
prevedeva che essi venissero tratti "dalle categorie in congedo dell'esercito,
marina e aeronautica, a loro domanda", conservando però il grado e l'anzianità
maturati nell'arma di provenienza. Si iniziava così uno strano balletto, che
durerà per tutto il periodo fascista: uomini con due divise, due gradi
eventualmente diversi, che spesso torneranno nelle file dell'Esercito, per le
operazioni belliche in Spagna, in Africa e poi nella seconda guerra mondiale,
per poi rientrare nei ranghi della Milizia, salvo indossare una terza uniforme,
quella del Partito (che ovviamente aveva le sue divise). Le restanti parti del
decreto non portavano sostanziali novità. Restava invariato l'obbligo di
iscrizione al Partito Nazionale Fascista come condizione
sine qua non
per l'appartenenza alla Milizia.
Il 28 ottobre 1924, secondo anniversario
della Marcia su Roma, in tutta Italia i militi giurano fedeltà al Re: la MVSN a
questo punto è
costituzionalizzata e i fascisti "duri e puri" che la
definiscono "evirata" non si rendono conto che la compromissione tra fascismo e
monarchia è reciproca.
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Reparti della
Milizia Volontaria sfilano davanti a Mussolini a ritmo del famoso
"passo romano" |
Il fascismo non è ancora
dittatura, ma ha compiuto un altro importante passo verso la fascistizzazione
dello Stato.
Se i rapporti con le Forze Armate potevano dirsi a quel punto
equilibrati, i problemi interni alla Milizia non mancavano. E il primo di questi
fu il basso livello di buona parte dell'ufficialità, conseguenza inevitabile
dell'immissione in ruolo
ex lege, per la prima formazione della
Milizia, dei componenti le squadre d'azione, nelle quali, come abbiamo visto,
l'attribuzione dei gradi era perlopiù elettiva.
Comandanti generali
(equiparati ai generali di corpo d'armata dell'esercito) della prima formazione
della MVSN erano i quadrumviri della Marcia su Roma, Balbo, De Vecchi, Bianchi e
De Bono, quest'ultimo veramente generale di corpo d'armata, e capo della polizia
di fresca nomina. A Mussolini, comandante in capo, veniva attribuito il grado
simbolico di
primo caporale d'onore. Il primo grido d'allarme arriva da
Balbo, nell'estate del 1923; a pochi mesi dalla sua costituzione ufficiale,
nella
MVSN si verificano gravi casi di insubordinazione (si segnalano
rifiuti di obbedienza ad Alessandria, a Carrara e ad Udine). Senza dubbio una
delle cause che rendono possibili questi disordini è lo scarso livello degli
ufficiali. Si rende necessaria un'epurazione, dice Balbo; le mancanze più comuni
sono "l'abuso di autorità, lo sfruttamento del grado della Milizia per scopi
personali, l'abuso dell'uniforme, la deficienza di dignità e sensibilità
militare…". Si stabilisce di tenere, in segreto, due sessioni di esami, una a
Torino (presiede De Vecchi) e una a Firenze (presiede Balbo), ai quali dovranno
sottoporsi i
consoli (colonnelli) e i
consoli generali
(generali) che non ricoprano lo stesso grado nell'esercito. L'esame prevede una
prova scritta e una orale, più lo svolgimento di uno schema tattico sul terreno.
Le materie sono cultura generale, cultura militare e, ovviamente, storia della
rivoluzione fascista, della Milizia e regolamento della stessa. Molti non si
presentano e perdono il grado, salvo Farinacci, il
ras di Cremona, che
si rifiuta di sottoporsi ad esami, ma contro il quale non viene preso alcun
provvedimento. Sono arrivati a noi solo i risultati finali della commissione
presieduta da Balbo: 133 consoli esaminati, 114 idonei, 10 bocciati, 9 sospesi:
questi ultimi, se vogliono conservare il grado, devono partecipare al corso di
istruzione militare per consoli. Le votazioni mettono in luce Dino Grandi (uno
dei migliori), mentre solo un giudizio di "scarso" spetta a Nicola Sansanelli,
Achille Starace (che viene promosso per
titoli personali) e Adelchi
Serena, tre futuri segretari del Partito. Comunque, come si vede dalle cifre, la
prevista "epurazione" diviene, nei fatti, ben poca cosa e così divengono
ufficialmente colonnelli o generali della
MVSN anche ex squadristi che
nell'esercito erano sergenti, se non addirittura semplici soldati o caporali.
La seconda crisi per la Milizia coincide con l'omicidio di Giacomo
Matteotti. E' il fascismo stesso ad essere in pericolo e Mussolini, col famoso
discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, riesce abilmente a ribaltare le
responsabilità, per il resto ancora una volta aiutato dall'insipienza di
un'opposizione che non aveva saputo inventare nulla di meglio dell'Aventino e
ancora una volta appoggiato dal Re. Il fascismo già aveva la maggioranza in
Parlamento, dopo le elezioni del 5 aprile 1924; col 3 gennaio 1925 diviene
dittatura. Ma nei travagliati mesi precedenti la Milizia aveva moltiplicato i
segni di inquietudine e molti consoli e consoli generali si dichiaravano pronti
"a far da soli" se Mussolini non fosse riuscito a riprendere in mano la
situazione. De Bono e Balbo si dimettono e il Duce nomina nuovo comandante il
generale Asclepia Gandolfo.
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Un gruppo di
squadristi in posa davanti al fotografo: immagine più casareccia che
bellicosa |
Ma qualcosa all'interno della
MVSN continua a non andar bene: il 18 settembre 1928 il luogotenente
generale Enrico Bazan, capo di Stato Maggiore della Milizia, comunica al Gran
Consiglio del Fascismo che: "per ragioni diverse, sono stati epurati dalla
Milizia 308 ufficiali e 2638 camicie nere…". Le ragioni non sono diverse dalle
solite: la militarizzazione, la sottomissione al codice penale militare, la
definitiva
normalizzazione sono mal accettate da quanti sono rimasti,
nel loro intimo, squadristi.
Un rapporto del console Renzo Montagna,
comandante la legione di Asti, redatto presumibilmente nella primavera del 1930,
contiene un passaggio significativo sul malessere che travaglia la Milizia: "…
si è parlato molto in questi ultimi mesi, specie da Ufficiali in servizio
permanente, di nuovi tipi di divisa, di aumenti di stipendio e di stato
giuridico. Con eguale passione e insistenza non si è mai discusso, invece, di
quelli che sono i veri problemi che riguardano la Milizia. E' anche questo un
sintomo che indica come la Milizia vada perdendo le sue doti migliori, che si
basavano sulla fede e sul disinteresse… "
Insomma, la
Guardia Armata
della Rivoluzione sta divenendo un ufficio statale come gli altri, e le
successive vicende storiche dimostreranno che il console Montagna, che estende
la sua polemica anche alla mancata fascistizzazione dell'esercito, proponendo un
rafforzamento dei reparti combattenti della Milizia, aveva timori non
infondati.
Ci rendiamo conto di aver proceduto fin qui, dal punto di vista
cronologico, un poco a sbalzi, ma era inevitabile, cercando di sviscerare la
storia della
MVSN per settori. Mettiamo ora un po' d'ordine: abbiamo
visto la nascita della Milizia, i suoi rapporti con l'esercito, i suoi problemi
interni, e le sue funzioni. Abbiamo seguito l'evoluzione politica di Mussolini,
Primo Ministro dal 1922, dittatore dal 1925.
Torniamo ora sul tema delle
funzioni della Milizia. Il Decreto Legge n. 1292 del 4 agosto 1924, che
integrava la Milizia nelle Forze Armate, non forniva però una chiara normativa
sui limiti, o sull'estensione delle funzioni della
MVSN, lasciando così
molto spazio all'iniziativa di Mussolini. Il 4 aprile 1924 il fascismo aveva
conquistato la maggioranza in Parlamento; il 3 gennaio 1925, lo vedevamo prima,
segna la data di inizio del Regime; quell'anno poi gli italiani avranno un
curioso regalo di Natale, il R.D. 24 dicembre 1925 n. 2263, sulle nuove
attribuzioni e prerogative del Capo del Governo. Mussolini ha ormai poteri
pressoché assoluti. In questo quadro politico, le funzioni della Milizia vanno
così definendosi:
- Polizia politica, con i già citati
UPI, a
livello di comando Legione.
- Sorveglianza degli oppositori inviati al
confino o nelle colonie penali.
- Funzionamento del Tribunale Speciale per la
difesa dello Stato; istituito con R.D. 25 novembre 1926 n.2008, è formato da 5
giudici aventi il grado di consoli della
MVSN e da un Presidente,
scelto tra gli ufficiali generali della Milizia o delle altre tre Forze
Armate.
- Istruzione premilitare, resa obbligatoria con il Regio Decreto 29
dicembre 1930 n.1759 per i giovani che hanno raggiunto il diciottesimo anno
d'età.
- Educazione fascista della gioventù (tramite l'Opera Nazionale
Balilla), curata dagli ufficiali della
MVSN in servizio non
permanente.
- Guardia del Duce, con la costituzione dello speciale reparto
dei
Moschettieri del Duce.
- Funzioni militari
- Funzioni di
polizia specializzata, che velocemente esamineremo ora.
Per inciso, ci sembra
interessante
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Le funzioni di
polizia specializzata venivano espletate dalle Milizie
Speciali |
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notare
che l'elenco delle funzioni che riportavamo prima, tratte da un'enciclopedia del
1938, taceva pudicamente su tutte le attività più direttamente repressive.
Le
funzioni di polizia specializzata venivano espletate dalle
Milizie
Speciali, che dipendevano, per la parte militare e disciplinare, dal
comando generale della
MVSN e per la parte tecnica dai diversi
ministeri a cui erano addette. Ovviamente in queste Milizie Speciali operava
solo personale in servizio permanente. Con diversi decreti, dal 4 agosto 1924 al
29 dicembre 1930 vengono istituite le seguenti Milizie Speciali:
-
ferroviaria
- portuaria
- postale e telegrafica (poi chiamata
postelegrafica)
- forestale
- confinaria
- stradale
Il personale di
queste Milizie ha le qualifiche di polizia giudiziaria e agenti di Pubblica
Sicurezza. Si tratta, nella sostanza, di organismi tecnici, che in alcuni casi
si sovrappongono ad altri organi di polizia che già svolgono le medesime
funzioni, in altri invece vanno a coprire settori precedentemente non tutelati,
come nel caso della milizia forestale. Un discorso a parte meritano la milizia
coloniale, che è di fatto una via di mezzo tra l'organo di polizia e il corpo
militare, e che viene subito impiegata (ottobre 1923) in Libia in funzione
antiguerriglia, stabilizzandosi poi in loco con due "Legioni Libiche
Permanenti", e la milizia universitaria, che ha l'incombenza dell'istruzione
premilitare e svolgerà pure speciali corsi per allievi ufficiali di
complemento.
Le Milizie Speciali rappresentarono la parte meno politicizzata
della
MVSN, né vale qui ricordare l'obbligo dell'iscrizione al Partito
Nazionale Fascista, che era divenuta per l'italiano medio una specie di tassa da
pagare, inevitabile per chi aspirasse a una carriera pubblica; se vogliamo
ricordare quanto dicevamo sopra, circa la passione di Mussolini per le
polizie parallele, nel caso della Milizia erano piuttosto gli
UPI gli organismi più significativi, che avevano anche il vantaggio di
far parte della Milizia ordinaria e di essere quindi più direttamente
utilizzabili. In sostanza, il cittadino che rispondeva ai bandi di arruolamento
nelle diverse Milizie Speciali non era necessariamente un fervente fascista, ma
una persona che aspirava ad un posto statale nello Stato fascista.
Negli anni
cresce anche di continuo il personale: dai primi 139.000 arruolati del 1923, si
arriva, alla fine del 1930 a 396.00 uomini, che diverranno addirittura 534.000 a
marzo del 1939 (sempre sommando la milizia ordinaria più le milizie speciali).
La
MVSN diveniva un organismo ipertrofico, dove, lo dimostreranno gli
eventi dopo il 25 luglio 1943, la grinta della
Guardia Armata della
Rivoluzione si andava sempre più annacquando. In questo senso la Milizia
non faceva eccezione rispetto alle molte altre istituzioni del regime, Partito
Nazionale Fascista in testa, che esprimevano comunque lo spirito di un popolo
che solo il Duce, e forse neanche lui fino in fondo, reputava guerriero e
anelante alla lotta.
Quelli che ancora, è presumibile, erano spinti da
motivazioni ideali, pagarono il più alto tributo di sangue: ci riferiamo ai
reparti combattenti della
MVSN, i
Battaglioni Camicie Nere,
costituiti dai giovani dai 20 ai 36 anni che hanno chiesto di essere inquadrati
in questi reparti che dovrebbero costituire "il fiore delle leve fasciste".
La guerra in Africa Orientale, la conquista dell'Impero sarà l'inebriante
battesimo del fuoco per le Camicie Nere. La
MVSN impiega in questo
conflitto sei divisioni, per un totale di 112.014 militi e 3.751 ufficiali; con
sovrabbondanza di mezzi, forniti dall'esercito, e contro un nemico assolutamente
inconsistente, la guerra "fascistissima" con cui il duce ridà all'Italia
l'Impero fa nascere molte, pericolose illusioni. I caduti sono 1.290, poco più
dell'un per cento della forza messa in campo. La guerra, l'unica in cui i
combattenti italiani si siano trovati dotati di tutto, è stata in verità una
serie di scaramucce e di grandi marce su terreni a volte impraticabili.
La
realtà è molto più dura e si paleserà con la partecipazione italiana alla guerra
civile in Spagna. La battaglia, perduta, di Guadalajara mette a nudo una serie
di deficienze gravi nella guida delle divisioni sul campo. Tornano a galla gli
antichi problemi della Milizia, che affondano le radici nella sua stessa
origine: ufficiali impreparati, ma che volevano difendere la loro indipendenza
dall'esercito, si scontrano con una guerra vera, portando i loro uomini alla
sconfitta. Qui non si tratta di fare parate militari o premilitari, o di tenere
roboanti discorsi alle milizie, o di combattere contro gli abissini. Qui la
guerra è fatta sul serio e il bilancio finale della partecipazione italiana è
pesante: al 26 gennaio 1939, data conclusiva del conflitto, sono rimasti in
terra spagnola 3.298 morti e 4.150 uomini sono feriti, il tutto su una forza di
poco superiore alle 100.000 unità. Ossia, i caduti sono il triplo rispetto alla
guerra d'Africa.
La guerra di Spagna è stata la prova generale, l'Europa è
ormai alle soglie della seconda guerra mondiale e Mussolini, dopo l'amaro
boccone di Guadalajara, deve far professione di realismo ed accondiscendere alle
richieste del Regio Esercito: grandi unità di camicie nere non saranno più
costituite e soprattutto non saranno più impiegate in modo autonomo, con propri
comandi. I volontari in camicia nera verranno inquadrati all'interno delle
formazioni dell'esercito: una legione di militi accanto a ogni divisione di
fanteria. Il nuovo ordinamento entra in vigore il 29 ottobre 1940 e interessa
una quarantina di legioni, pari a 132 battaglioni. Le camicie nere combatteranno
sul fronte francese, in Africa settentrionale, in Africa Orientale, nei Balcani
e sul fronte russo, dove esordiranno i nuovi reparti d'assalto formati da
veterani, i
Battaglioni M.Il 1° febbraio 1943, ventesimo
anniversario della fondazione della
MVSN, si tirano le somme del
contributo di sangue versato sui vari fronti. I caduti sono oltre 8.200, i
feriti 12.856. Nei mesi successivi ci saranno altri morti in combattimento, ma
non ne è rimasta traccia nei documenti pubblici.
Il 25 luglio 1943 il Re fa
arrestare Mussolini e lo sostituisce col maresciallo Badoglio. La Milizia non fa
assolutamente nulla per tentare di liberare il Duce. Il console Montagna, con le
sue critiche di tredici anni prima, aveva visto a lunga distanza.
Tre carri
armati della divisione Ariete arrivano davanti al comando generale della
Milizia, in piazza Romania e puntano i loro cannoni verso le finestre
dell'ufficio del generale Enzo Galbiati, capo di stato Maggiore. Ma il generale
Galbiati non ha intenzioni bellicose; si affretta a comunicare che "la
MVSN … rimane fedele al sacro principio di servire la Patria". Passa
poi le consegne al suo successore, il generale di corpo d'armata Quirino
Armellini. In Italia si scoprono in molti, quasi tutti , antifascisti; la
Milizia non fa eccezione. Mentre tanti gerarchi si danno alla fuga, o si
mimetizzano, mentre il Partito Fascista viene sciolto, la Milizia continua ad
esistere come parte integrante delle Forze Armate. I militi si tolgono dal
bavero i "fascetti" e li sostituiscono con le stellette. E' l'istituzione
fascista che durerà di più, perché solo il 6 dicembre 1943, con Regio Decreto n.
16-b, verrà dichiarata decaduta.
E' la fine anche formale della duplice
illusione. Militarmente, la
MVSN ha fallito (nonostante i comportamenti
valorosi delle Camicie nere, soprattutto sui fronti dell'Africa settentrionale e
della Russia), come
Guardia Armata della Rivoluzione non ha neanche
tentato di agire. Espressione della dittatura che l'aveva generata, la
MVSN ha dimostrato di incarnarne gli aspetti deleteri di fondamentale
superficialità, di vuota retorica, sotto la quale non c'era sostanza, ma solo il
sacrificio inutile di migliaia di giovani, mandati a morire con l'illusione di
essere dei guerrieri.